Il ministro dell’interno Maroni è insorto dopo che Saviano, nella trasmissione “Vieni via con me”, ha affermato che la criminalità organizzata non è un fenomeno locale del Sud, bensì una forza che ormai ha spostato il suo baricentro nel Nord Italia. Suscita ancora scandalo dire che la ‘ndrangheta non è solo in Calabria, così come la cosa nostra non è più solo in Sicilia, e la camorra in Campania? Sembrerebbe di sì, vista la reazione di Maroni. Ma per quale motivo?
Ne abbiamo parlato con Gianni Somigli, giornalista e scrittore, autore del libro “E’ già sera” (Romano Editore) in cui si analizza, oltre alla strage di via dei Georgofili, proprio la situazione della mafia siciliana fuori dalla Sicilia, e, più in particolare, a Firenze e in Toscana.
Allora, Gianni, qual è il tuo pensiero su questa vicenda?
“Il mio pensiero è semplicissimo. Ancora una volta si guarda al dito e non alla luna. Saviano non ha diffamato nessuno, ha solo parlato di fatti reali, di inchieste. Ha mostrato il video di un vertice tra boss della ‘ndrangheta in un circolo di Paderno Dugnano, a due passi da Milano. Non mi pare che abbia accusato Maroni di non fare il suo mestiere. Il problema è che certe cose, che sono comunque pubbliche perché atti processuali e d’indagine, possono andare su giornali, libri. Ma non in televisione: in tv, certe cose, non si possono dire”.
Eppure anche con Gomorra, un libro, Saviano non ci è andato leggero…
“Ma è un libro, e se ci fai caso non avrebbe mai suscitato nessuna reazione in nessun politico di cui si fa il nome tra quelle pagine. La reazione è stata dei boss della camorra, che hanno condannato a morte Saviano. E ancora una volta, è successo dopo che il ‘caso-Saviano’ è arrivato in tv”.
Siamo alla videocrazia, quindi…
“Voglio farti un altro esempio classico, quasi scolastico: Marco Travaglio. Marco Travaglio ha sempre scritto e sostenuto le stesse tesi, da decenni ormai. Ma è diventato Travaglio solo quando è andato in televisione da Luttazzi. Quello è proprio il paradosso: non è stato il libro ‘L’odore dei soldi’ a creare lo scandalo, ma il fatto che si parlasse del libro in televisione”.
Tornando però sul punto: le affermazioni di Saviano devono destare allarme?
“Allarmano più le reazioni del ministro. La storia raccontata da Saviano non è una fantaricostruzione. Anche i sassi ormai sanno che le mafie non sono un problema locale, ma globale. Dire che la ‘ndrangheta ha base ormai al Nord è dire qualcosa che ormai sanno tutti. O almeno, che dovrebbero sapere”.
Ma come può avvenire una cosa del genere?
“Scrivendo il mio libro, parlando con persone come Vigna ed altri, ho capito tante cose. La discriminante è l’allarme sociale: la differenza tra la mafia al Sud e quella al Centro e al Nord è che giù c’è uno stretto controllo del territorio, avvengono episodi di sangue, c’è paura. Da noi al Centro o più su alle mafie conviene non esercitare violenza, o un controllo violento del territorio. Quello che importa è stare dove girano soldi. Come un tumore che ormai ha succhiato tutto quello che c’è da succhiare in un organo del corpo e che si trasferisce, passa ad un altro organo. Questo è il meccanismo, e Saviano non inventa né scopre nulla: racconta dinamiche che ormai sono note”.
Ultima domanda: perché la televisione ha questo potere?
“Oh… Questa è la domanda da un milione di dollari! Be’, ci sono molte spiegazioni che spaziano tra la filosofia e la sociologia, credo. E che dunque non mi competono. Io mi rifaccio al Grande Fratello, ma non quello di ora, bensì il libro di Orwell, che intendeva ‘Fratello Maggiore’. Esiste uno strumento di controllo più affinato e capillare delle televisioni? In ogni casa ce n’è una, come minimo. Niente è più diffuso. Ma non dobbiamo dimenticare una cosa fondamentale: la televisione è solo uno strumento, un mezzo. Quindi, è l’uso delle televisioni ad essere più o meno corretto. E da noi, senza stare a fare la solita ramanzina, la situazione non è rosea. D’altronde, dell’importanza del mezzo televisivo si erano ben accorti anche mafiosi come Totò Riina”.
Come si risponde a questa che, dalle tue parole, sembra essere una sorta di emergenza?
“Si risponde con la cultura. Solo la cultura può salvarci. E non voglio essere settario, nemmeno voglio essere populista, dicendo che esiste il telecomando e la tv si può spegnere, cosa comunque vera. Anche in televisione si può fare cultura. E la cultura è ciò che ci porta a farci domande, a non ingoiare tutto quello che ci viene propinato; il ruolo della cultura, e di chi la fa, è quello di scuotere, di svegliare le coscienze, di far nascere domande. Oggi in tv si trovano solo risposte, ancora prima di sapere quale sia la domanda. Mi pare evidente che così il meccanismo è viziato, che ci sia qualcosa che non va”.
Cambierà la situazione, prima o poi?
“Non lo so. Questo, davvero, non lo so”.
Lino Simaggini
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